Insetti e cibo sintetico

Sono di pochi giorni fa due decisioni normative simmetriche, l’una rivolta a consentire la commercializzazione di prodotti derivati dalla trasformazione degli insetti, l’altra di impedimento alla produzione di ‘cibo sintetico‘.
Nel primo caso si è trattato di applicare una Direttiva Comunitaria approvata nel 2018 (Novel Food), nel secondo, con un disegno di legge del Governo che comporterà adeguata discussione parlamentare, di impedire la produzione, l’importazione e l’utilizzo di alimenti cosiddetti sintetici, cioè prodotti per processo biologico e di sintesi in laboratorio.
Sull’applicazione della Direttiva non c’è molto da dire. L’Italia arriva dopo 5 anni alla applicazione di una norma comune che allarga possibilità di utilizzo alimentare di animali diversi da quelli che nella storia occidentale sono stati utilizzati. Giustamente tali prodotti devono essere ben differenziati dagli altri sia come sede di vendita che come informazione alimentare. Si possono fare molte considerazioni sull’avvenimento, il mercato dirà, la sicurezza alimentare è garantita, forse in questa opportunità c’è un pezzo di futuro.
Diverso è il caso del cibo sintetico. E’ del tutto evidente che la norma proposta risente della doverosa preoccupazione di tutelare la produzione agroalimentare tradizionale italiana, vanto del made in Italy nel mondo. Per questo motivo si comprende l’apprezzamento di molti. E tale decisione si può condividere sul piano della sicurezza alimentare e del principio di precauzione (non a caso identico percorso giustificativo seguito contro gli
OGM di prima generazione!), tuttavia appaiono frettolose e non sufficientemente meditate tutte quelle considerazioni che si fermano alla fenomenologia del problema: il cibo è storicamente un prodotto derivato dall’elaborazione di materie prime agricole, tutto quello che è altro non è cibo e come tale va contrastato.
Occorre in realtà svolgere un ragionamento più ampio e complesso. Al solito le semplificazioni sono utili, ma possono essere inadeguate a codificare una soluzione.
Quattro riflessioni nella forma di interrogativi: occorre pensare ad alimentare oltre 8 miliardi di persone che certamente non si possono alimentare – sia per costo sia per possibilità quantitativa di offerta – con l’eccellenza alimentare mondiale quale è la nostra. Quindi perché eliminare un’ulteriore possibilità produttiva ?
Occorre riconvertire parzialmente, – l’argomento comporta una profonda e attenta riflessione di politica agraria – parti della nostra agricoltura e zootecnia, per esempio a causa della necessità del contenimento delle emissioni e per constatazione statistica non discutibile sulla riduzione dei consumi di carne: il tema del cibo sintetico non è quindi da collegarsi a questa riflessione di indirizzo strategico?
Il principio di precauzione vince sempre ed è bene sia così. Occorre non difendersi da problemi con alibi tuttavia: è possibile ritenere che una produzione di laboratorio, poi potenzialmente industriale, sia realizzata senza tenere conto della norma sanitaria e della salubrità di possibili alimenti? E le produzioni agricole in capannone (soprattutto verdura fresca) non sono un altro esempio di artificialità? In questo caso non ci sono agricoltori e non c’è nemmeno la terra, ma l’utilizzo guidato dei processi fisiologici vegetali per produrre cibo, peraltro tutto super controllato al di fuori dei canoni agricoli.
Infine stiamo parlando di un disegno di legge. Occorre ora che venga portato alle Camere, poi che venga messo all’ordine del giorno, poi discusso nelle Commissioni competenti, in questo caso Agricoltura e Sanità almeno, poi prevedibilmente emendato, poi ritorni alla discussione, poi occorrerà un accordo in sede comunitaria … insomma c’è tempo.
Non si commetta l’errore di segnalare con enfasi un risultato acquisito. E possibilmente si allarghi la discussione ai temi di prospettiva della produzione agroalimentare nella quale la nostra di notorietà e qualità, francamente, non ha molto da temere.